Su e giù per l’Olimpo
Hotel Olimpo, Edizioni El
Illustratore Antongionata Ferrari
L’Olimpo sarebbe un posto noioso se non ci fosse la razza umana, con il suo coraggio, la passione, gli ideali, la crudeltà. Gli uomini vorrebbero essere come gli dei, ma cosa sarebbero gli dei senza gli uomini?
Zeus osservava in silenzio la voragine buia che si apriva sotto i suoi piedi e che, a quanto dicevano, giungeva fino al cuore infuocato della Terra. Laggiù, a una profondità inimmaginabile, c’era la prigione in cui Crono aveva rinchiuso i Ciclopi.
“Allora siamo d’accordo!”, disse rivolto ai fratelli, “ Se qualcosa andasse storto, sapete cosa fare.”
“Ce l’hai detto mille volte. Tu cerca di tornare a casa, però!”, borbottò Poseidone.
Seguì un silenzio cupo, rotto solo dai boati che provenivano dalle profondità della Terra.
Zeus si avvicinò al bordo della voragine con l’incudine stretta tra le gambe e si lanciò nel vuoto.
I primi istanti furono i più terribili. Roteava su sé stesso, aggrappato all’incudine, precipitando ad una velocità vertiginosa.
Il cerchio di luce sopra la sua testa diventò sempre più piccolo, finché scomparve del tutto, lasciando il posto a un buio impenetrabile. Un puzzo nauseante saliva dall’abisso, insieme al ruggito spaventoso dei terremoti.
Zeus non finiva mai di ripetersi che lui era il re degli dei e degli uomini, il dio venuto alla luce per riportare la pace nel mondo.
Ricordò i fratelli che lo aspettavano fiduciosi, gli occhi verdi della sua futura moglie Era e la morbidezza della braccia di sua madre Rea.
Questi pensieri di vita lo aiutarono a non impazzire, mentre continuava a precipitare nel vuoto e il gelo lasciava il posto a un calore altrettanto sconvolgente.
Per nove giorni e nove notti, Zeus precipitò nel buio assoluto, senza alcun punto di riferimento, né di tempo, né di luogo, finché al decimo giorno atterrò con un gran fracasso contro una superficie di metallo.
Il viaggio era concluso. Si trovava sul tetto del Tartaro.